Esempi tra verbi

percórrere v. tr. [dal lat. percurrĕre, comp. di per1 e currĕre «correre»] (coniug. come correre; part. pass. percórso]. – 1. Attraversare, passare attraverso, riferito soprattutto a vie di locomozione o a corsi d’acqua che solcano un determinato territorio: giunto al pianoil fiume percorre una regione fertile e ridentela nuova autostrada percorrerà il paese in quasi tutta la sua lunghezzala valle era percorsa soltanto da qualche vecchia carraia (più com. attraversata). 2. a. Compiere, a piedi (oppure a nuoto, o, nel caso di volatili, con le ali) o con un mezzo di trasporto, un determinato tragitto, in alcuni casi per solo spostamento (che può avvenire anche in un tratto breve), in altri compiendo percorsi più lunghi, talora con soste e deviazioni: per svolgere la sua ricerca ha dovuto pla regione in lungo e in largoper arrivare al castello bisognava pa dorso di mulo un ripido sentierola processione si dirigerà al santuario percorrendo il solito itinerarionei suoi viaggi ha percorso tutti gli oceaninella gara di nuotoha percorso la distanza tra le due rive in 15 minutivolgersi indietro a guardare il cammino percorso (in senso proprio e traslato); uccelli migratori che percorrono migliaia di chilometri per raggiungere i paesi caldi. b. Riferito ai mezzi stessi di locomozione, e per estens. ad altri corpi materiali che si spostino sul terreno, sul mare o nello spazio: il treno percorre il tratto fra le due città in poco più di un’orale rotte percorse dalle navidagli aerei di lineala distanza percorsa da una frecciada un proiettile che attraversa l’aria. c. In usi estens. e fig. che si riferiscono a movimenti, passaggi e spostamenti, reali o soltanto ideali, nello spazio o nel tempo: pcon lo sguardo le cime dei montipcon le dita la tastiera del pianofortein pochi anni ha percorso brillantemente tutti i gradi della carriera diplomaticasi sentiva la schiena percorsa da brividi; spec. nel linguaggio letter.: alla man veloce Che percorrea la faticosa tela [tessendo sul telaio (Leopardi); il passato è la misura del tempo che abbiamo percorso (Tarchetti); fremiti di libertà percorrevano tutta la letteratura (B. Croce); la casa … fu percorsa d’echidi scricchioliidi presenze e fruscii (E. Cecchi).

Fonte https://www.treccani.it/vocabolario/percorrere/

córrere v. intr. (pass. rem. córsicorrésti, ecc.; part. pass. córso; aus. essere quando l’azione è considerata in rapporto a una meta, espressa o sottintesa, e nei sign. di cui ai nn. 2, 3, 4, 5; avere quando l’azione è considerata in sé, e nel sign. di partecipare a una corsa). – 1. a. Avanzare rapidamente in modo che in nessun momento i piedi tocchino terra contemporaneamente; con sign. più generico, andare, spostarsi velocemente sul suolo, sia di persona sia di animali: ho dovuto cper non perdere il trenoho corso troppo e sono tutto sudatoho cercato di raggiungerloma lui correva più forte di meil cavallo correva nella pianurail cane correva dietro al gatto. Locuzioni: ccome il ventocome il fulminea rotta di colloa precipizio, ecc., correre molto velocemente; cdietro a qualcuno, inseguirlo correndo, o anche, fig., ricercarne i favori; fig., cdietro alle donne, cercare continue e superficiali avventure amorose; prov., una volta corre il caneuna volta la lepre, le cose oggi riescono bene a uno, domani a un altro. b. Usato assol., partecipare a una gara di corsa (a piedi, in bicicletta, in automobile, ecc.): la squadra che corre per la casa Bianchiricordi i nomi degli assi che hanno corso nell’ultimo circuito di Monza (o dei cavalli che correranno ad Agnano)?; anche in giochi di ragazzi: fare a c., fare a chi corre di piùc. estens. Andare in fretta, venire prontamente, accorrere: si fa buiobisogna ch’io corra al convento (Manzoni); corri a prendermi delle sigarettesono corso a chiamare l’idraulicoappena ricevuta la tua telefonata sono corso subito da tecal capezzale di un malato. Anche semplicem. andare, sempre però con una certa fretta o interessamento: tutti corrono a vedere quel filmappena saputo ch’era arrivataè corso a salutarlaca una cosa, esservi attratto: i pesci corrono all’amole mosche corrono al mieled. Essere veloce, frettoloso nel fare una cosa: corre troppo quando recitaleggi più adagionon c.tu corri troppo!, a chi vuol giungere troppo in fretta allo scopo, a una conclusione. e. Di veicoli e sim., procedere a forte velocità: l’automobile correva sulla strada asfaltatacome corre questo treno!f. Nel linguaggio marinaresco, fare rotta, navigare con una certa velocità: cdi bolinadi controbordo, ecc.; ca fortuna, navigare con cattivo tempo; in senso più generico, csull’ancora, di nave che, ancorata a ruota, per il repentino cader del vento o del mare si porta quasi a picco sull’ancora, richiamata dal peso della catena. 2. fig. a. Ricorrere: cai ripariai rimedîb. Compiere un movimento molto rapido e quasi involontario: la mano gli corse al coltelloalla tascaal portafogliol’occhio mi corse subito allo specchio. c. Presentarsi con prontezza e intensità, di parole, pensieri, sentimenti: il mio pensiero corse subito alla mamma (oppure corsi subito col pensiero ecc.); dissi le prime parole che mi corsero sulle labbraE tanto buono ardire al cor mi corse (Dante). 3. a. Di strade e sim., procedere, snodarsi: la via corre piana fino al lagola linea ferroviaria corre lungo la stradasotto il cornicione corre un fregio di stucco; anche, intercorrere, estendersi: dall’una all’altra di quelle terredalle alture alla rivada un poggio all’altrocorrevanoe corrono tuttaviastrade e stradettepiù o men ripideo piane (Manzoni); corrono fra la città e le sue colline zone di pianura più o meno vaste (Palazzeschi). b. Di corsi d’acqua, di liquidi, scorrere: il fiume corre tortuoso fra le riveil sudore gli correva giù per la facciail sangue che corre nelle venenacque una rissa e corse sangue, ci furono dei feriti, dei morti; fig., un brivido mi corse per le ossa. Per traslato dallo scorrere dell’acqua, anche altri usi fig.: di discorso e sim., procedere bene, filare: i periodi corrono pocoè un discorso che non corre; di pagamenti e sim., avere effetto, decorrere: non s’ammazza certo di lavorotanto sa che lo stipendio gli corre lo stessogli interessi corrono dal primo gennaio. Molto com. la locuz. fig. lasciar correre, lasciare che le cose vadano per il loro verso, non risentirsi, sorvolare su qualche cosa: lasciamo cper questa volta. c. Di tempo, trascorrere, passare velocemente: i giornigli anni corronocome corre il tempo!; più genericam., essere in corso: correva l’anno 1300con gli annicoi tempi che corrono; o intercorrere: corsero lunghi mesi prima che desse notizia di sé. d. Di spazio, o distanza, frapporsi, intercedere: dalla villa al lago corrono circa 500 metric’è corso poco che non cadesse in mare, è mancato poco; fig., correrci, esserci differenza: ci corre da me a luitra le nostre opinioni ci corre un abissotra me e te (cicorrono tre anni. 4. a. Occorrere, capitare: sono corsi avvenimenti importanti in questi ultimi tempimi corre l’obbligo di avvertirti, sento l’obbligo. b. Con sign. reciproco, venire scambiati: erano corse tra loro promesse di matrimoniocorsero pugniingiurieminacceCorsero a un trattocon stupor de’ tigliTra lor parole grandi più di loro (Pascoli); o semplicem. esserci: tra marito e moglie non corrono più buoni rapportinon corre certo buon sangue tra quei due!5. a. Di voci, notizie, dicerie e sim., circolare, esser diffuso: corrono brutte voci sul suo contoil discorso cadde sulle opinioni che correvano là in fatto di religione (Giusti); corre voce che …, si dice che. b. Di uso, moda e sim., essere in voga: tra i ragazzi d’oggi corrono curiose abitudinic. Di moneta, essere valida, avere corso legale: è una moneta che non corre più. d. ant. Di tributi, essere in vigore. 6. Con uso trans.: a. Percorrere: Felice teche il regno ampio dei ventiIppolitoai tuoi verdi anni correvi (Foscolo); chino sul volante della sua rossa macchina che correva l’antica strada romana (D’Annunzio); cil mare, ant., corseggiare. b. Con sign. più particolari: correr pericolocun rischio, andare incontro a; cla cavallina, condurre una vita spensierata, di piaceri e disordini (v. cavallina1). c. letter. Scorrere devastando: i barbari corsero gran parte l’Italiabattutaspogliatalaceracorsa (Machiavelli). d. Partecipare a una gara di corsa. cil giro d’Italia; i 100i 200 metri. Anticam. era com. anche per altre competizioni: cgiostra, giostrare; c. (ilpalio, correre per vincere il palio: Poi si rivolsee parve di coloro Che corrono a Verona il drappo verde (Dante); c. (la) lancia, fare un assalto di lancia a cavallo, in giostre, in tornei: non v’era un miglior per correr lancia (Ariosto); in questa zuffala velocità della carriera non servivacome nel cla lanciaad accrescere impeto ai colpi (D’Azeglio). e. fig., poet. ant. Csangue e sim., trasportare sangue copiosamente versato: Sangue corrono i campi e sangue i fiumi (V. Monti); vollero morir col ferro in manoE avanti a lor correa sangue il piano (Mercantini). ◆ Part. pres. corrènte, anche come agg. e sost., con accezioni partic. (v. corrente1, corrente2, corrente3, corrente4).

Fonte https://www.treccani.it/vocabolario/correre/

Taking Gifts to the Sea Gods (Bali, 1982)

rincórrere v. tr. [comp. di rin– e correre] (coniug. come correre). – 1. Inseguire correndo, in genere chi fugge e con intenzioni ostili: rincorse il ladro ma non riuscì a raggiungerloho rincorso l’autobus, ma non sono riuscito a raggiungerlo; nel rifl., con valore recipr.: faregiocarea rincorrersi, dei ragazzi che per gioco si corrono dietro a vicenda. Con altro sign., cercare ripetutamente, con insistenza: i giornalisti rincorrono da giorni il ministro per avere una sua dichiarazioneti rincorro da ieri ma non ti trovo mai. 2. fig. Inseguire con la mente, con la fantasia: r. un sogno, un desiderio; anche inseguire qualcosa per cercare di ottenerla a tutti i costi: r. il successo, la fama.

Fonte https://www.treccani.it/vocabolario/rincorrere/

Minstrels (musica sognata)

Ritornello, rimbalzi
tra le vetrate d’afa dell’estate.

Acre groppo di note soffocate,
riso che non esplode
ma trapunge le ore vuote
e lo suonano tre avanzi di baccanale
vestiti di ritagli di giornali,
con istrumenti mai veduti,
simili a strani imbuti
che si gonfiano a volte e poi s’afflosciano.

Musica senza rumore
che nasce dalle strade,
s’innalza a stento e ricade,
e si colora di tinte
ora scarlatte ora biade,
e inumidisce gli occhi, così che il mondo
si vede come socchiudendo gli occhi
nuotar nel biondo.

Scatta ripiomba sfuma,
poi riappare
soffocata e lontana: si consuma.
Non s’ode quasi, si respira.
Bruci
tu pure tra le lastre dell’estate,
cuore che ti smarrisci! Ed ora incauto
provi le ignote note sul tuo flauto.

EUGENIO MONTALE (da Ossi di seppia, Gobetti, 1925)

Oriana

Leggendo Vita Immaginaria di Natalia Ginzburg scopro la scrittura di Oriana Fallaci. Una sua frase sulla libertà, indipendenza, della donna. Mi piacque molto e la resi testo in una mia recente drammaturgia.

A seguire senza una logica conseguenziale, in questi giorni, forse solo perché trovo brava Miriam Leone, ho guardato la fiction RAI dal titolo Miss Fallaci. Dedicata ad una delle figure più controverse e incisive del giornalismo italiano.

Oriana Fallaci, al di là di un carattere per nulla facile (a tratti insopportabile, stando alla testimonianza diretta di chi ha lavorato con lei), aveva una qualità rara: una prosa incandescente, fatta di emotività allo stato puro, di coscienza dell’efficacia “simbolica” della passione.

Alla fine delle 8 puntate c’è una magistrale chiusura del racconto (solo una parte della vita di Oriana Fallaci). Riporto alcuni passi perfettamente appropriati al ragionamento che stavo facendo prima, il mio di questi giorni. La bravura è la partecipazione. Le parole belle possono essere marce. La funzione di questo malessere è la verità, o per meglio dire, desiderio di chiarezza.

Oriana al suo editore che prima la licenzia in malo modo e poi la reintegra “Volevi la verità, avevi ragione! Perché la verità è l’unica cosa per cui valga la pena vivere. Anche quando è scomoda e ti costringe a pensare che tu non sarai mai amato. (…) La verità la dirò sempre. Anche se questo vorrà dire restare sola tutta la vita. E l’ho capito solo ora. (…) La verità, una bestia selvaggia liberata dalla sua gabbia che muove stordita i primi passi incerti al sole. (…) Tirarsela fuori è una mutilazione liberatoria. Ci si ritrova menomati, ma cauterizzati e limpidi. Il mondo ci appare di colpo diverso. (…) Le sue domande risvegliano quell’altra bestia sopita, la curiosità, gemella e madre della verità, una curiosità feroce che alimenta il desiderio di partire, di andare a vedere e sentire


Per tutti

Quando penso a te o scrivo a te per un attimo mi chiedo se questo significa “insistenza”. Poi rifletto, mi rassereno e penso che è una connessione che metto in atto, invisibile, di vera bellezza, di esposizione nuda del mio sentire. Se scandaglio queste tre parole invisibile, vera, bellezza riesco a riassumerle tutte in un concetto infinito che è “l’ adesso” ovvero il momento presente “l’istante” in cui devi decidere, se scrivere questo messaggio o fare altro. Non è sempre così. Quando è veramente forte preferisco scriverlo perché riconosco la sfida che contiene. Le verità sono infinite, laddove sono così profonde vanno espresse.

La bellezza del sentire

Qui il sentire è posto come un richiamo, come una voce forte e decisa che ci dice di assecondare una intuizione. Fa parte della nostra sensibilità di ogni “sentire” a cui ho dato attenzione, orientando le mie scelte anche se da visionario e senza “utili” senza nessun “avere” o contropartita, più delle volte controvento.

Vivo di quell’incoscienza di cui ne ho fatto un’arte. Poi diventa manifesta, ma questa è un’altra storia. Da sempre è così. Racconto un esempio di oggi, un bell’incontro e come si è evoluto.

Anni fa mi incuriosì il lavoro di Simona Di Gregorio che al momento con tanta maestria conduceva un attività di insegnante di canto per un gruppo di persone di ogni età sotto l’insegna UnicaVuci Catania, un coro popolare aperto a tutti, senza distinzione di età, di genere, di provenienza. Bene!!

Rimango affascinato. In quel periodo stavo realizzando interviste preparatorie per un film di cui al momento c’è solo un teaser. Chiedo a Simona la possibilità di fare una intervista. Lei mi dice che avrebbe lavorato a Giarre i giorni successivi e mi invitava ad andare con loro così avrei potuto seguire lei e il suo gruppo, era ad aprile 2019.

Salgo in macchina con lei e musicisti. La intervisto in ogni momento utile. Realizzo anche altro materiale. Poi le scrivo e le offro di completare con tutto il gruppo altre riprese, ne avevo già un bel po’, per il montaggio, pro bono, di uno spot dei CASENTULI, formazione di musica popolare.

Ieri, 09 marzo 2025, dopo quasi 6 anni, guardo la serie Il Gattopardo su Netflix e riascolto quella bellezza di voce e bravura, felice ed esaltato nell’avere conosciuto e intercettato la sua capacità molto tempo prima e che avevo già pubblicato proprio quell’inno di gioia.

La lungimiranza che all’inizio ho definito come incoscienza ed ogni ciò che porta è il mio mood, mi piace!! Sono i prodigi dell’arte e la sua volontà di esistere. Di seguito i tre momenti dove c’è Simona che porto alla Vs attenzione. Il silenzio, l’aspettare,

Promo del documentario in lavorazione, Taltà di Salvatore Greco.
Promo CASENTULI 2020

Il Gattopardo | Spunta lu Suli | Netflix

Da cosa nasce cosa. Detto ciò, elencate le esperienze suddette, porto in evidenza un bella intervista a Elisa Coclite, in arte Casadilego ospite di Stefano Bollani e Valentina Cenni che in una recente puntata del programma televisivo Via dei matti n.0 hanno ricordato, con un tocco personale e coinvolgenteAhmad Jamal, uno dei pianisti più influenti e innovativi della storia del jazz. Un incontro straordinario in cui musica, improvvisazione e dialogo si intrecciano per dar vita a un viaggio sonoro unico.

Trascrivo il loro dialogo sul “valore delle pause”
. Quanto è importante per te fermarti, fare silenzio?
. Nella vita o nella musica?
. Nella vita e nella musica!! Tutte e due!!
. In entrambi i casi è necessario “il silenzio”, “l’aspettare”. L’ascolto soprattutto”!
. Eh sì bisogna fare spazio no, l’importante è fare il vuoto per capire cosa è necessario… si cambia continuamente…
. Sì, è semplice, ma non così tanto in realtà. Da dire non c’è molto, nella pratica è più difficile di quello che sembra
. Fare silenzio, “sì”, sono tante tante persone che parlano dentro di te, metterle a tacere, stare in ascolto
. Si, ascoltarle più che metterle a piacere..
. Ah, ascoltarle ecco, queste moltitudini che lei ha dentro vogliono essere ascoltate, ha ragione giusto, poi quando ce ne sono troppe… fai silenzio e ascolto qualcos’altro!! E invece la musica, che cos’è per te nella tua vita? Oggi facciamo domande proprio esistenziali, domande importanti.
. Cosa non è?
. Cosa non è la musica?
. Penso che non ci sia una cosa che non sia strettamente intimamente legata alla musica nella mia vita la sto facendo fatica a trovarne una tua vita

Elisa Coclite, in arte Casadilego a Via dei Matti n.0

Parola

Donato Dozzy & Anna Caragnano ­- Parola (Official Video)

Fare di un attore un attore è la più difficile delle soluzioni. Tendenzialmente l’attore si ripete e solo con allenamento, tecnica, perseveranza e bravura gli può riuscire di trovare il personaggio da interpretare. Le modalità con cui un attore porge un racconto al pubblico sono tante, le parole una di queste. Ci sono tanti altri aspetti da attenzionare. Scegliere l’attore perfettamente coincidente al copione o fare in modo che lo diventi significa avere rispetto di un sistema antico chiamato rappresentazione, teatro, dialogo eterno tra attore e spettatore in qualsiasi luogo o condizione avvenga. Lo standard è questa modalità, una magnifica resa, il resto è spreco. L’arte è saper stupire dopo un’idea con una dottrina e liturgia di fede. Facendo così la platea porta a casa il retrogusto del palcoscenico che non vede l’ora di rivedere la platea al prossimo aprire di sipario.

Siamo dei

Fermarci a pensare. La musica ti rimette in pace con l’universo.
Stamattina la prima cosa a cui ho pensato è questa canzone di Lucio Dalla

Siamo dei, E ci muoviamo nello spazio profondo, Corriamo dietro ai tuoni, ci pettiniamo, E aspettiamo la fine del mondo, Mentre tu, pover’uomo, Non sei niente di speciale, Devi anche lavorare e poi chiedere perdono, Siamo Dei, Figli del sole, invece tu chi sei?, Tuo padre è stato il dolore, Un momento, un momento, Ho anch’io qualche argomento, Ho un amico che è un campione di rock, E riesce a ballare per tre giorni e tre notti, Senza doversi fermare, E un altro che ha la voce, Da basso e con una mira, Che ti stacca la coda di un cane con un sasso, se lo tira, E poi ho (ho) un grande amore (amore), Un amore di ragazza che mi aspetta, E se non torno esce pazza dal dolore, poveretta, Ed ogni estate do il mio voto e vado al mare, E resto nudo tutto il giorno, mmh, Fa molto bene abbronzarsi e poi nuotare, Se mi vedessi quando torno, Ma cosa credi di fare? Dove credi d’andare?, Non hai più aria per poter respirare, Non c’è nessuno che ti possa aiutare, Ed ogni giorno che, che vola via, Scopri di avere una nuova malattia, Oh, oh, uh, brutto uccello, Ti ha mai detto nessuno che un Dio dovrebbe essere più bello, E poi non ho capito l’ultima riga, Non sarà che a stare sempre nello spazio, Hai imparato a portar sfiga?, Eh, eh, eh, su quale giornale scrivi?, Noi non siamo ancora morti, Se possiamo guardarci in faccia, Vuole dire che siamo vivi, Noi siamo Dei e la tua vita è un inferno, O qualcosa di più atroce, Potresti vivere anche tu in eterno, Se ti pentissi e se abbassassi un po’ la voce, Oh, oh, oh, brutta specie di un aeroplano, Ma non ti accorgi che stando in alto vedi il mondo da lontano?, E per che cosa mi dovrei pentire? Di giocare con la vita?, E di prenderla per la coda, tanto un giorno dovrà finire, Eh, eh, e poi, all’eterno ci ho già pensato, È eterno anche un minuto, Ogni bacio ricevuto dalla gente che ho amato (Fonte: LyricFind Compositori: Lucio Dalla)

Dalla 1980

Dalla 1980. L’album fu il più venduto dell’anno e comprende tracce di successo come Balla balla ballerino, Cara, Futura e La sera dei miracoli, che entrarono a pieno titolo nella cultura musicale italiana dell’ultimo scorcio del XX secolo.

Contiene inoltre la canzone Meri Luis, considerata dallo stesso Dalla la sua canzone «più vera, più autentica» e reinterpretata nel 2011 da Marco Mengoni. In un’intervista su Radio Deejay, Dalla ha dichiarato che l’inizio strumentale del brano è ispirato a Milestones di Miles Davis, album che Dalla considerava il migliore del grande jazzista statunitense.

La copertina è una fotografia realizzata da Renzo Chiesa realizzata agli Stone Castle Studios di Carimate, s’incentra sul cappello di lana dell’artista sovrastato dai suoi occhiali, ed è diventata iconica per il cantautore.

Circa nove anni dopo la pubblicazione dell’album la canzone La sera dei miracoli fu usata come sigla di chiusura del programma televisivo di inchiesta giornalistica La notte della Repubblica di Sergio Zavoli. Il brano è dedicato a Roma.

Il 13 novembre 2020, per celebrare i 40 anni dall’uscita, l’album “Dalla” è stato ristampato da Sony Music (Legacy Recordings) in un’edizione limitata rimasterizzata per recuperare le sonorità originali.

fonte https://it.wikipedia.org/

Libertà

Rimanere libero, appassionato, e guadagnare terreno è una lotta continua. Colgo il mondo, agisco, in tante occasioni e in tutti i modi lo illumino, anche nell’incredulità dei confini, ogni condizione. Altri ne sanno così l’esistenza. Come una fontana prima nascosta, alla luce, consumano all’insaputa solo una parte, quella apparente. A volte ancora peggio nascondono, se ne appropriano convintamente alterati da vanti inutili. Sono così, poetico e ingenuo. Troppo. Così non mi ci vogliono sentire, anche se sono occasioni per scrivere di libertà, come sto facendo. Adesso.

Quando è uscita la canzone Era già tutto previsto di Riccardo Cocciante io avevo 16 anni e già da qualche anno mi muovevo come dj in feste e in radio. Ero molto libero, la mia situazione familiare lo permetteva. Poi questa libertà è passata anche dalle catene in quanto “esagerazione”. Libero di inventare e non libero di essere.

Ascoltiamo questa canzone. Un canto di esplorazione, di apertura, un siparietto, una parentesi tra vari ascolti. Questa canzone è stata, recentemente, ritmo ed essenza, colonna sonora di una scena in un terrazzo in penombra su coppie che abbracciate ballano in Partenopee di Paolo Sorrentino. Guardo questo mix, proiezione di un passato trasformato in eternità, questo è il suo mood che percepisco, questa canzone, infiniti baci.

Francesco Cammilleri di San Cataldo (CL) l’ha ben interpretata a The voice senior su Rai UNO. La riporta a me mentre ceno e mentre già decido che sia un post adesso qui. Questa canzone è contenuta nel 33 giri L’Alba di Riccardo Cocciante in cui alcuni brani come Canto popolare, poi riproposta da Ornella Vanoni, respirano di rivoluzione, comunicano un senso di marcia, quella dei contestatori, come una silenziosa protesta, l’autorità che si percepisce nel momento in cui un uomo punta alla libertà.

La prima libertà è quella di pensare, vivere, immaginare. La libertà che cerca essa stessa, la libertà. Per me la semplicità è libertà. La natura di ciò che si è, come da ragazzi. Una libertà anche immatura. Divergente divergenza con la realtà. Libertà che si conquista attimo dopo attimo con ogni sforzo. La libertà di vivere bene nel senso veritiero del termine, di partecipare e costruire lo scorrere delle cose. La libertà adeguata alla propria esperienza, al proprio sapere, al proprio gusto e soprattutto a tutti i propri desideri che realizzati diventano “partecipazione”.

La libertà. Una rete di desideri.

C’è anche la libertà di alzarsi e andarsene. Il tempo diviene immobile laddove non c’è una libertà condivisa e partecipata. Chi è generoso è anche libero. Chi è generoso non ha quasi mai il senso della misura… come per i sogni, fare l’amore, i baci e amare. Grande senso di libertà non vincolare la libertà di altri, lasciare che facciano, semmai lontani, la loro libertà. Libertà di dire e di essere ascoltati. Chi è libero fa qualsiasi cosa tranne manipolare. Il cinico ha poco a che fare con la libertà. Il cinico mastica.

Ci contraddiciamo spesso sul termine e sulle sue capacità di essere liberi, perché siamo assoggettati a meccanismi esterni. La vita è una comunione di intenti e l’agire di uno diventa giostra di altri.

Alla conferenza accademica dedicata al Don Giovanni di Mozart ascolto il relatore che dice “un uomo che ama celebra il suo desiderio e con il matrimonio rinuncia ad una libertà in nome di una appartenenza ad una cellula sociale“. A tal proposito Umberto Galimberti scrive “Molte persone concepiscono l’amore in maniera possessiva. Mia moglie, mio marito… togliete questi possessivi. Non c’è niente di vostro, l’altro è un altro. Anche i matrimoni possono essere possibili solo se partono dal concetto che Lei o Lui è un altro. La condizione elementare e fondamentale per continuare a vivere si chiama amore. L’aveva detto bene Freud: la vita funziona se qualcuno ci ama. Amore è tutto ciò che aumenta, allarga, arricchisce la nostra vita, verso tutte le altezze e tutte le profondità. Noi viviamo finché c’è qualcuno che ci ama: sono convinto che molte persone anziane ‘se ne vanno’ perché nessuno le ama più. L’amore è la categoria della vita ma comporta una condizione di gratuità: oggi mancano le condizioni dell’amore perché la gratuità viene derisa e vista con sufficienza, come qualcosa di patetico e l’Altro viene, considerato come un oggetto, qualcosa da rivendicare come nostro, come possesso. Ma voler possedere l’altro, significa non amare. Come diceva Fromm: L’amore immaturo dice: ti amo perché ho bisogno di te. L’amore maturo dice: ho bisogno di te perché ti amo”.

Come faccio a essere libero? Perché a volte essere liberi lo è si apparentemente. Aggiunge Natalia Ginzburg “Quando sentiamo parlare di “libertà”, istintivamente noi drizziamo le orecchie come cani da caccia. Abbiamo la sensazione che venga menzionato qualcosa che ci riguarda personalmente. Eppure la parola “libertà” è cambiata in noi e forse nessuna parola ha subito una simile trasformazione. Forse la parola luna ha subito un analoga trasformazione da quando “la luna” è stata esplorata. La parola “libertà” è comunque per noi oggi irriconoscibile se la mettiamo accanto a ciò che era. Invano cerchiamo il nostro spirito l’antico squillo argentino e solenne. Esso si è spento da tempo. Noi da tempo abbiamo preso a pensare che la libertà sia forse una delle parole più scure e difficili, complicate che esistono al mondo (…) Noi siamo perciò insieme dei padroni e dei servi. Padroni perché abbiamo dei privilegi. Servi perché abbiamo una profonda mutilazione nella nostra conoscenza umana. Di questa è nostra doppia natura di padrone di servi, della nostra, giovinezza quando aspettavamo la libertà non eravamo affatto consapevoli. La delusione che abbiamo provato è vecchia e nota. Raggiunta la libertà non eravamo affatto consapevoli. (…) Allora ci siamo chiesti chi erano in verità gli altri

La libertà è costruire il proprio tempo, i propri spazi. La libertà è riuscire, è provarci un milione di volte.

Un milione di anni fa ho conosciuto Dario grazie a Libertà che in quella occasione diventava Freedom. Portavo a scuola la libertà da La libertà alla quale avevo partecipato come attore per lo spettacolo scritto da Filippo Arriva e diretto dal compianto Armando Pugliese. Quella esperienza non soltanto mi fece lavorare assieme a mio padre, mi portò anche una occasione di lavoro in qualità di drammaturgo per il saggio di fine anno del Liceo Galilei.

Ed oggi qui a liberare la mia natura seguendo questa canzone Era già tutto previsto. Ad abbracciarmi per abbracciare. La libertà del ripetere versi come si usa in teatro per cui un gruppo di attori sera per sera conduce il gioco serio con un pubblico invitandolo a crederci e a misurarsi con la propria libertà.

Ieri prima dello spettacolo mi sono regalato la libertà di non rispondere. E alla fine dello spettacolo di voltare le spalle e liberamente camminare verso casa. La libertà è una responsabilità che ci meritiamo anche se nessuno ci capisce. Siamo una serie di libertà.

Lasciar scorrere

Buon giorno. Stamattina finalmente scopro ciò che mi rallenta e mi crea a volte ansia. È l’incapacità di fare “il passo successivo”. Per paura di fallire o di ricevere una risposta che esce fuori dal mio disegno, rimango fermo. Questo può significare la capacità di lasciare scorrere, aspettare lo stesso quid che mi ha portato al primo slancio per farne un altro. Crea anche scarsa continuità e incertezza. Ci sto pregando su per capire meglio e se è il caso di invertire la tendenza. Nel frattempo sogni desideri sono in fila sopra un foglio di carta, compongono i miei tanti appunti. Prego nel continuo prendermi di cura di me, volermi bene per procedere bene.

Regia

Da piccolo mi capitava spesso di accompagnare mia nonna, la mia famiglia, a Teatro per vedere delle opere liriche. Non le seguivo molto, mi mettevo nella parte buia del palco e da solo o assieme ad alcuni miei cugini stavo lì in disparte ad annoiarmi. La scena era distante e soprattutto quel mix lirico tra musica e parlato mi era incomprensibile. Cmq il seme fu piantato.

Il teatro è una formula d’arte che è entrata prepotentemente nella mia vita grazie a mio padre fondatore del Teatro Club di Catania. Fin da ragazzo ne ho fatto un mestiere; non so bene se per emulazione o inconscia profonda passione, so che sono una persona attenta ad ogni forma di messa in scena. Questo atteggiamento di rispetto è il frutto dell’educazione che ho ricevuto. Tutto ciò che riguarda il teatro è stato ed è il mio mondo da sempre professionalmente da quasi 50 anni.

Fruitore o operatore sono due cose diverse che possono coincidere. Nel dettaglio fruitore e colui il quale fruisce, assiste al lavoro teatrale; operatore è chi elabora, costruisce, mette in scena l’arte teatrale. Le due parti sono concatenate perché un operatore è necessariamente impegnato a conoscere lo stato dell’arte quindi si nutre dell’aspetto sociale, di ogni evoluzione. Insomma un operatore che serve i propri piatti con cura va quasi ogni giorno al mercato o da chi produce la materia prima, va in giro nei teatri a vedere il lavoro di altri colleghi, lo stato dell’arte. Ieri con me c’era Tony, il mio aiuto regia. Abbiano seguito la prova di uno spettacolo per quasi 3 ore.

La rappresentazione è incorniciata in un momento storico. Lavorare in teatro vuole dire porgere lo sguardo alla società, al contemporaneo. Vuole dire affinare il gusto, il proprio gusto, metterlo a disposizione del lavoro che si produce. Nutrirsi del lavoro di altri vuole dire studiare, vuole dire farsi una propria idea, discernere tra ciò che ci piace e ciò che non ci piace. Vuole dire essere capaci, nel momento in cui si elabora una drammaturgia e si mette in scena uno spettacolo, di trovare perfetti spunti di coinvolgimento emotivo che permettano di fare scelte registiche tali che lo spettatore possa seguire con più facilità la rappresentazione di un racconto, esso sia realizzato in qualsiasi forma sul palcoscenico. In questo senso immagino un sano equilibrio tra logica (intesa come convenzione) e rappresentazione (intesa come personale stile di rappresentazione).

Unico obiettivo permettere al pubblico la migliore ricezione della storia e possibile immedesimazione di quello che accade sul palcoscenico.

Trovare le parole più giuste per quello che è il mio sentire è sempre un grande impegno. Capita spesso di essere frainteso perché adotto una scelta “la sintesi” che non tutti gradiscono. È così perché evito sempre la retorica, perché mi piace studiare e realizzare lo stupore, perché attraverso questo senso di meraviglia il pubblico trova la modalità di seguire meglio.

Il mezzo di dialogo tra la scena e il pubblico è molto spesso l’attore, può anche essere il vuoto come luogo di rappresentazione. L’attore attraverso la sua capacità di espressione porge la storia le battute, il canto, allo spettatore seduto in sala o in piedi che sosta o transita dal luogo di rappresentazione.

Mi impegno costantemente a trovare elementi “decisi” nel senso più chiari possibili affinché la rappresentazione sia contemporanea, ovvero coerente nell’approccio in funzione al tempo, nel tempo, che la si porge al pubblico.

Mi impegno a a far sì che l’opera contenga elementi visivi posturali, sonori, scenici tali da catturare nel miglior modo possibile l’attenzione del fruitore, lo spettatore.

Questo è un ragionamento sul quale continuerò a scrivere. Per adesso faccio colazione, scrivo da stamattina, dall’albeggiare, appena sveglio. Lo stimolo, come ho già anticipato, è arrivato dalla prova del primo atto del Don Giovanni di Mozart in scena dal 7 marzo al Teatro Massimo Bellini di Catania. La foto che segue è uno scatto realizzato ieri con il mio telefono.