Elettra di Sofocle, traduzione di Giorgio Ieranò, regia di Roberto Andò
Edipo a Colono di Sofocle, traduzione di Francesco Morosi, regia di Robert Carsen. Per la 60ª stagione dell’INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico) al Teatro Greco di Siracusa
Uscendo dal Teatro Greco di Siracusa mi sono fermato a mangiare un buonissimo panino concepito in un camion ben attrezzato. Davanti tavoli sparsi, mentre gustavo le mie patatine e la birra, alcune persone discutevano della loro esperienza appena trascorsa e facevano un confronto fra lo spettacolo Elettra per la regia di Roberto Andò in scena il giorno prima il 9 maggio e Edipo a Colono per la regia di Robert Carsen, che si era appena concluso. Tra tanto dire, mi ha colpito il commento su Elettra “è stato più pesante da seguire”
Portata a casa la dichiarazione di una giovane donna rappresentante del pubblico, la condivido e la utilizzo come incipit di questo articolo frutto di una esperienza siracusana di due giorni.
Perché? Perché desidero porre l’attenzione su un principio di fondo che ritengo interessante “l’essere spettacolo”, ovvero la capacità della messinscena, di accontentare, servire, pubblici diversi. Per me questo è importantissimo. Soddisfare sia chi conosce la storia (chi ha letto il libro o ha seguito altre edizioni), sia chi è lì, davanti alla scena, per la prima volta. Lo spettatore che si è fatto un regalo, ha comprato un biglietto e desidera portarsi a casa un racconto, una storia, la bravura degli attori, il contesto, le scene, la piacevolezza della regia.
Così decido di mettere in fila i due vissuti in ordine di tempo e li porto all’attenzione di chi mi legge in un unico contenitore partendo proprio dalla capacità di un drammaturgo di offrire allo spettatore non soltanto la battuta, il significato, la storia e la narrazione. La capacità di soddisfare il pubblico
Giorno 9 maggio in scena Elettra, personaggio della mitologia greca, oggetto di numerose rielaborazioni e reinterpretazioni nel corso dei secoli, sia in ambito letterario che teatrale. Il suo mito, legato alla vendetta per l’uccisione del padre Agamennone, continua a influenzare l’arte e la cultura occidentale, ispirando opere di autori come Euripide, Sofocle, Hofmannsthal, Prosper Jolyot de Crébillon e molti altri.
Quella a cui assistiamo è Elettra di Sofocle. Il figlio di Agamennone, Oreste, interpretato da Roberto Latini, torna dopo molti anni a Micene in compagnia di Pilade interpretato da Rosario Tedesco e del Pedagogo interpretato da Danilo Negrelli. Su ordine di Apollo, Oreste deve vendicare la morte del padre, ucciso dalla moglie Clitennestra interpretata da Anna Bonaiuto e dal suo amante Egisto interpretato da Roberto Trifirò per usurparne il trono. L’antefatto vuole che da bambino Oreste correva il rischio di essere anch’egli ucciso in quanto erede al trono. Era stato salvato dalla sorella Elettra interpretata da Sonia Bergamasco che affidato ad un uomo focese, suo zio Strofio, lo aveva tenuto lontano dagli intrighi di palazzo. Da quel giorno Elettra, che provava un odio profondo (e ricambiato) verso i due assassini, aveva vissuto nella speranza che Oreste un giorno potesse tornare a vendicare il padre.
Lo spettacolo inizia dal momento che Oreste torna a Micene all’insaputa di tutti. Diffonde la falsa notizia della propria morte. Elettra è disperata, si fa coraggio e decide che sarà lei a vendicare il padre. Ottenuta la prova della fedeltà della sorella, Oreste le rivela la propria identità, ed insieme i due organizzano un piano per attuare la loro vendetta. Oreste penetra nel palazzo e uccide senza pietà la madre supplicante, poi incontra Egisto e lo trascina fuori scena per ucciderlo; proprio su questa immagine si chiude la tragedia.
Arrivo a Siracusa mosso dalla curiosità. Felice di vedere un nuovo spettacolo di Roberto Andò un regista di cui apprezzo la maestria. A marzo di quest’anno mi è piaciuto molto il suo spettacolo Sarabanda con Renato Carpentieri, Alvia Reale, Elia Schilton, Caterina Tieghi, candidato al premio Le Maschere del cinema italiano. Inoltre Andò conosce bene l’INDA, è stato artefice di interessanti novità.
Eccomi in compagnia di amici e colleghi. Un contesto all’aria aperta, antico, mastodontico, importante, con le sue regole.
Dopo il saluto del Sindaco Francesco Italia e la presentazione del programma della prossima stagione che si basa su Eschilo Euripide e Sofocle da parte del Consigliere Delegato INDA Marina Valensise, inizio subito a raccogliere in sottofondo il rituale di Giovanni Sollima, il suo violoncello è inconfondibile. Segue una comitiva di attori che sembrano gli amici davanti a un muretto alla ricerca di posizioni in una scena (di Gianni Carluccio) che mi fa pensare al Cretto di Gibellina l’opera di arte ambientale di Alberto Burri realizzata nel luogo in cui sorgeva la città vecchia completamente distrutta dal terremoto del 1968.
Mi colpisce la battuta “un cavallo di razza, anche se è vecchio, non si smarrisce per la paura e drizza sempre le orecchie di fronte al pericolo“ la recita Oreste, dà vigore ad inizio spettacolo. Bene! Sono istanti in cui sono fiducioso, mi sembra che questo sia prologo e offerta di un poeta. È inoltre pregusto una simmetria mentre sono distratto dalla luna e mi chiedo se è piena.
La protagonista Elettra si presenta al pubblico dopo circa 15 minuti, alle sue spalle entra una moltitudine di donne/ragazze, è il coro di donne di Micene, prorompenti come tante Malena (Monica Bellucci di Tornatore) il loro movimento appare poco chiaro, assomiglia ad una prova, mi imbarazza.
Manca l’eco della tragedia greca. Fermo l’attenzione su un’altra battuta “il tuo dolore è senza scopo, inutile” che sul copione del programma di sala è riferita al coro. Non ricordo chi l’abbia recitata se Simonetta Cartia, Paola De Crescenzo, Giada Lo Russa o Bruna Rossi, mi arriva piatta, come se l’avesse recitata un “madonnaro” mentre la dipingeva in terra. Da questo momento in poi quella mia eccitazione iniziale, quel coinvolgere i miei amici da qualche giorno, quell’interesse per questo allestimento incomincia a calare fino ad arrivare a “fatti coraggio figlia mia“. Non capisco cosa stia succedendo.
A cosa servono i classici? Cosa sono i classici? Qual è la loro musicalità? Che funzione ha il teatro antico? Lo spettacolo che mi trovo davanti mi sembra ristretto, come se il regista stia lì a ricalibrare tutto. Pur bravi gli attori, questa “prima” davanti ad un pubblico di 4500 persone, per me non parte.
Attorno a me tanti giornalisti che prendono appunti con la mia stessa voracità. Forse perché dopo circa 40 minuti secondo me il pubblico non è stato ancora afferrato. In questa dimensione si sente soltanto la scomodità della seduta. Finché qualcosa cambia…anche se poca cosa.
Una nuova battuta che ricopio nel mio quadernino “ora sorella assolvi al tuo compito“. È arrivata forte, chiara, delineata in un contesto che finora sembra dispersivo. Accadono due cose. Un grande applauso e a seguire ingresso di Clitennestra. Si passa al mito! Arriva l’eco della voce, non so se è un cambio di modulazione registica, so che accolgo la maestria di Anna Bonaiuto differente da tutte le scene precedenti. Sonia Bergamasco con tenacia e bravura si affianca a lei “per quale ragione ti comporti nel modo più vergognoso anche adesso cosa può giustificare il fatto che tu vada a letto con l’assassino con l’uomo insieme al quale ha ucciso mio padre” e da un nuovo slancio alla messinscena. Due donne importanti, due brave attrici, un momento decisivo. Fin adesso lo spettacolo è stato un ottovolante.
Si aggiunge il fatto che il pubblico, in alto alle gradinate, si muove e, passando davanti alla luce, disturba la scena creando ombre. Ogni persona che percorre il corridoio in alto porta la sua presenza laddove c’è lo spettacolo e questo non so se distrae, so che si nota. Poteva essere un effetto. Così ripetitivo, no.
Sul mio libretto di appunti scrivo altre cose. Mi piace seguire il monologo del Pedagogo “sono stato mandato qui per dirtelo e ti racconterò tutto” riferendosi a Clitennestra. Mi sembrano entrambi proporzionati, ma continua a non bastarmi. Mi ritrovo a guardare una scena in cui il coro è disseminato come se fosse ad un picnic.
Immagino che Roberto Andò, regista quotato, maestro, questa volta ha fatto le cose di fretta. Mi dispiace, non mi arriva la regia, quelle scelte che appassionano lo spettatore.
Il pubblico vuole conoscere una storia ed entra in teatro spesso privo di info e dettagli, a volte non conosce neppure il titolo. Dovrebbe essere così. Una fruizione teatrale didascalica, professionali, contribuisce alla pace. È compito degli attori, dei tecnici capitanati dal regista, drammaturgo, mettere in scena “lo spettacolo”. In questa occasione non l’ho visto
Dall’esperienza Elettra esco perplesso anche se nel dettaglio mi piacerebbe esaminare le varie esperienze degli attori e delle attrici, faccio un veloce giro sul web.
Roberto Latini dice in una intervista pubblicata sull’account INDA su FB “stiamo lavorando nel privilegio di essere ammessi all’occasione del Teatro Greco, all’occasione di questi testi, di questi personaggi. Siamo tutti quanti nell’ascolto di questo spazio”. Trovo un sunto su AI Overview “La recensione dello spettacolo “Elettra” di Roberto Andò, con Sonia Bergamasco nel ruolo di Elettra, è generalmente positiva. Le recensioni evidenziano l’intensità dell’interpretazione di Bergamasco, l’austera Clitennestra di Anna Bonaiuto e l’efficacia di Roberto Latini in Oreste (…) Alcuni potrebbero trovare l’opera troppo concentrata sull’emotività di Elettra, trascurando altri aspetti del testo”. Il titolo di Repubblica “l’ira di Sonia Bergamasco: Elettra è un match tra attrici di rango”
A questo punto passiamo al secondo spettacolo, Edipo a Colono. I miei amici sono rimasti a Catania. La soluzione è il bus, ed è possibile perché lo spettacolo termina alle 21 circa e ho il tempo di mangiare un panino (l’ho già scritto all’inizio) e prendere il bus delle 22.
All’ingresso in teatro mi accoglie la scena monumentale di Radu Boruzescu, di un verde pazzesco, immagino quante prove colore hanno fatto i fantastici costruttori del laboratorio di scenotecnica dell’INDA. Le scatto una foto.
Forse c’è un po’ meno gente di ieri, alcuni arrivano proprio mentre il suono di un energico tamburo significa il “chi è di scena”.
Non è un tamburo! E’ il bastone di Edipo, interpretato da Giuseppe Sartori, che scende le scale al centro del primo settore dei posti in cavea dove già gli spettatori, me compreso, stanno ammirando tutto il contesto.
Accanto a Edipo c’è Antigone, interpretata da Fotinì Peluso classe 1999. Il suo nome in greco significa luminosa. Nata nel quartiere Monteverde di Roma da madre greca e padre italiano, ne ha preso tutta l’accezione migliore: «il mio nome è sempre stato un po’ ingombrante, ero la bambina col nome strano, esuberante, creativa, vivevo nel mio universo”. Sul web leggo anche che è uno dei volti più promettenti del cinema italiano. Forse è una delle sue prime esperienze in teatro. L’INDA la presenta così “L’attrice è il volto nuova della stagione dell’Inda” e lei risponde “il personaggio di Antigone è il più bello di tutti (…) è il ruolo di colei che vede e non semplicemente guarda (…) è un’emozione unica trovarmi qui in questo teatro. Reputo una fortuna incredibile poter partecipare ad una esperienza del genere con un maestro come Carsen (…) lo spazio naturalmente influenza l’energia con cui recitiamo”
Questo pensiero si vede, l’ingresso padre e figlia ci da questa sensazione di grande avvio della scena.
Pochi istanti dopo da quel bastone che percuoteva le scale d’accesso si va prima all’orchestra e poi allo skenè. Risuonano le battute “chiedo poco (…) me lo hanno insegnato le sofferenze” di Edipo come sigla delle meraviglie, e penso che i miei amici potevo coinvolgerli per oggi, per questo spettacolo. I primi minuti di uno spettacolo sono importantissimi.
Si sente la lirica delle parole, il teatro antico. L’avevo già indicato, mi affascina la bellezza della scena. Il Coro degli abitanti di Colono è perfetto, i movimenti sono reali, sinceri, il loro recitato all’unisono. Wow! Mamma mia! Antigone mi commuove!
Se penso che la direzione era Andò, e che mi trovo a Carsen! Lo considero un regalo della mia passione! Dell’Universo, dell’Ufficio Stampa dell’INDA.
Edipo, ormai cieco, nel suo peregrinare insieme alla figlia Antigone, arriva a Colono, “il quartierino” di Atene. La profezia diceva che lì sarebbero terminati i suoi giorni. Gli abitanti del luogo, riconosciuto Edipo, vorrebbero allontanarlo, ma Teseo il re di Atene, gli offre ospitalità e protezione. A questo punto Edipo rivela a Teseo che quando i Tebani diverranno nemici degli Ateniesi la sua tomba preserverà i confini dell’Attica.
“Padre, sorella: due nomi per me carissimi. Quanto mi è costato trovarvi; e ora, quanto mi costa guardarvi, in mezzo al dolore”. È Ismene interpretata da Clara Bortolotti, l’altra figlia di Edipo, li raggiunge. La più giovane attrice nel cast, anche lei al suo esordio in teatro. Anche lei entra dalle gradinate. Mi colpisce il suo recitato, sembra straniera e nel connubio con la musica che mi riporta a Demetrio Stratos questo è un altro momento di bella fruizione.
A seguire dopo il dialogo tra Edipo e il coro entra in scena Massimo Nicolini che nel 2009 aveva già interpretato Teseo in una edizione di Edipo a Colono con la regia di Daniele Salvo con protagonista Giorgio Albertazzi “una fortuna enorme, entravo in scena a cavallo, a 27 anni è stata una cosa che io mi ricorderò per tutta la vita” (seguo una intervista di Gianni Catania su FM ItaliaTV). Massimo Nicolini racconta quello che nel testo avrebbe dovuto fare Clara Bortolotti, ma che Carson ha preferito diversamente.
Il pubblico è agganciato, l’atmosfera è magica. Le parole sanno dare gioia.
Smetto di prendere appunti, seguo lo spettacolo felice. Una “miscellanea” di movimenti, il coro, le luci, gli attori tutto sapientemente orchestrato dalla regia di Robert Carsen. Così arriva il retrogusto di una ricarica culturale “Qualcosa è successo”. Fa bene andare a TEATRO. Grazie!