Catania Fringe Off 2025 non è stato soltanto lo spazio in cui ho rappresentato il mio spettacolo L’altro ieri con Alice Canzonieri e Aurora D’Arrigo. È stato, prima di tutto, un luogo di incontro, di scoperta, di immersione nel lavoro degli altri. Un’esperienza corale fatta di corpi, parole, improvvisazioni, accenti, musiche e soprattutto di umanità in scena. Ecco, allora, il mio piccolo diario di viaggio tra gli spettacoli che ho avuto la fortuna di vedere.
🎪 3CLOWN – Compagnie Les Blues de Travail (Francia)
Tre clown miei coetanei. Li guardo e sento una profonda ammirazione per la resistenza e la dedizione con cui continuiamo a difendere l’arte in età matura. Laurent Barboux, con il suo sax, prima di ogni spettacolo si allena e suona con una disciplina quasi ascetica, questo mi piace moltissimo, è colossale segno di rispetto. Lo spettacolo, una raccolta di entrate clownesche tratte dal libro di Tristan Rémy (che ho con me dal 1980), è un viaggio nella storia del clown moderno: Chocolat, Grock, Zavatta, i Fratellini… figure leggendarie della comicità e della dolce malinconia. Un inno alla semplicità e alla gioiosa artigianalità del ridere. Da questo spettacolo porto in regalo l’amichevole collaborazione alla Sala Hernandez e un senso di leggerezza che profuma di un qualcosa che mi appartiene.
🌊 POSTDRAMATIC – Experimenta Art Company (Grecia)
Una nuotatrice urbana alla ricerca del suo mare. Thekla Gaiti, autrice e interprete, ci guida in un mondo frammentato, assurdo, teneramente infantile. Trentacinque piccoli atti che scorrono come un album di appunti, in un flusso continuo di sensazioni e ipersensazioni. C’è la ricerca in questo spettacolo, il desiderio di uscire da schemi, ideologie e provocare: una leggerezza poetica che sembra sfiorare la favola, anche quando parla di smarrimento. Ne porto via lo stupore che diventa una parola: candore.
🌿 L’OMBRA DEL GELSOMINO – Compagnia Art Revolution (Ispica)
Un titolo che mi tocca da vicino. Il gelsomino è un profumo della mia memoria: i giardini di mia nonna, i terrazzi dei miei genitori, i luoghi dell’infanzia dove la sera si riempiva d’estate e di voci. Per me è sempre stato simbolo di amore, famiglia, convivialità, storia personale. Eppure, in questo spettacolo, il gelsomino getta un’ombra — l’ombra del cuore oscuro della società. Alessandro Romano, autore e regista, costruisce una partitura scenica che indaga la fragilità e la paura del diverso, ma anche la solitudine come condizione esistenziale del presente. Il testo si muove in una zona crepuscolare, dove la bellezza e la violenza convivono, dove il profumo del gelsomino non è più promessa ma memoria, eco, assenza. Il risultato è un viaggio nel malessere, inteso non come abisso ma come possibilità di conoscenza, come momento in cui si può riconoscere la propria ombra e trasformarla in consapevolezza. Mi ha colpito la delicatezza registica di Romano: la scena si impone; lascia che le emozioni emergano per stratificazione, lavora con gli effetti che il teatro offre. Il ritmo è rituale, e gli attori — Alice Canzonieri, Federica Guerrieri, Giovanni Pelligra — si muovono con precisione e grazia, tessendo un intreccio fatto di sospensioni a volte tuonanti. Scrivo di questa produzione come atto d’incoraggiamento verso la luce, una luce che non è effetto di scena ma conquista interiore. Nel titolo, “ombra” e “gelsomino” si fondono in un ossimoro perfetto: la purezza che incontra la notte, la bellezza che si piega all’oscurità senza spegnersi. E forse, in questo gesto poetico, c’è la vera forza dello spettacolo — ricordarci che anche ciò che profuma di buono può nascondere un dolore, e che solo attraversandolo possiamo davvero ritrovare il senso della luce.
💭 ERO CHIARA – di e con Chiara Alonso
Un’autrice giovane, autentica, libera. Ero Chiara è un viaggio biografico, una confessione in tre quadri familiari: lo zio, la nonna, il fratello. Chiara Alonso si espone, si mette in gioco, senza paura di mostrarsi fragile, insofferente o ironica. Ne parliamo dopo lo spettacolo e mi racconta delle sue collaborazioni, delle influenze (Milo Rau, Sergio Blanco, Liv Ferracchiati). La sua libertà espressiva mi entusiasma: è la spontaneità il cuore pulsante di questo lavoro. Per Chiara grandi palcoscenici.
⚡ IO//ODIO – Santibriganti (Moncalieri)
Lo avevo intravisto al Village delle Ciminiere e mi aveva colpito la sua forza brutale. In scena, Luca Serra Busnengo dà voce a un personaggio intriso d’odio e di ossessione. Ma l’odio, qui, diventa strumento di riflessione, e perfino di amore. Valentina Diana firma un testo tagliente, che dialoga con la telecamera più che con il pubblico, creando una doppia platea, reale e virtuale. Un lavoro che mette a nudo il male contemporaneo, ma con una poetica che trasforma la rabbia in pensiero.
💃 FREEVOLA – di e con Lucia Raffaella Mariani (Trento Spettacoli)
Lucia Raffaella Mariani porta in scena una donna e le sue molte versioni.
Stand up, canzone, confessione, provocazione: tutto si riflette in un gioco di specchi tra chi vive e chi si osserva vivere, tra la sorvegliata e la sorvegliante. Mi colpisce la sua energia, la sincerità del gesto, il desiderio limpido di trovare un posto nel mondo del teatro. Nel dialogo che segue lo spettacolo, le suggerisco di esplorare il non-sense, quella forma di teatro dell’assurdo capace di trasformare il caos in linguaggio, la disarmonia in senso. Un territorio dove la logica si frantuma e l’uomo moderno si riflette nella propria alienazione, amplificandola e sublimandola. In lei intravedo il segno di una grande attrice, una luce che mi fa pensare a Lucia Poli, per intelligenza ironica e libertà interpretativa.
🥊 DER BOXER – di e con Michele Vargiu (Sassari)
Un monologo vibrante dedicato a Johann Trollmann, pugile zingaro e campione di Germania nel 1933. Una storia vera, potente, che diventa lezione di umanità. Michele Vargiu domina la scena con ritmo e cuore, accompagnato dalle musiche dal vivo di Gianluca Dessì. Uno spettacolo necessario, civile, che ricorda come la dignità possa resistere anche davanti alla barbarie.
☄️ BENVENUTA CATASTROFE – Dopolavoro Stadera
L’ho visto in piazza Scammacca, senza luci di scena. Luigi Vittoria, diretto da Mario Gonzalez, affronta con ironia la catastrofe climatica. Un monologo intenso, surreale e profetico. Bravo! In lui rivedo qualcosa del Carmelo Bene più ispirato, quello che trasforma il caos in rivelazione. Gli auguro di continuare a spingersi oltre, verso i classici e oltre i confini. La commedia dell’arte che esprime può diventare cambiando direzione può diventare una sontuosità che esprime la tragedia nel gesto migliore. Vittoria domina la scena con una fisicità consapevole, un corpo che si fa linguaggio, oscillando tra giullare e profeta. In lui ho rivisto qualcosa del Carmelo Bene più ispirato: quello capace di trasformare il caos in rivelazione, il silenzio in musica, la parola in eco di sé stessa. Bene, partito in sordina, ha attraversato il teatro italiano con un cinismo lucido e spietato, demolendo ogni forma di rappresentazione per restituirle una voce nuova, quella del teatro come esperienza totale, quasi mistica. Non so se Bene abbia mai incarnato il giullare tipico di Dario Fo – figura popolare, politica, diretta – ma certamente ne ha condiviso il destino: farsi voce di un teatro che continua a parlarci, ancora oggi, come una ferita aperta e necessaria. Luigi Vittoria sembra raccogliere proprio questo testimone, giocando tra la parola e il gesto, tra l’immediatezza della commedia dell’arte e la profondità del dramma contemporaneo. La sua è una recitazione che, se spinta oltre, può diventare sontuosa nel senso tragico del termine: una bellezza che nasce dal gesto, dal respiro, dalla deformazione della realtà in poesia. Gli auguro di proseguire su questa strada, di spingersi verso i classici, verso nuove zone di rischio e di libertà, perché dentro il suo lavoro si intravede già un teatro in trasformazione, vivo, pulsante, necessario.
✨ TROPPO BELLA PER ESSERE VERA – Pequod Compagnia/Teatro E (Trento)
Scritto da Massimiliano Bucchi e diretto da Maura Pettorusso, Troppo bella per essere vera è un monologo che fonde ironia e denuncia, leggerezza e profondità, scienza e bellezza. Sul palco, la giovane Maria Vittoria Barella dà corpo a una donna che attraversa mondi apparentemente inconciliabili: la femminilità e la ricerca scientifica, l’immagine e il pensiero, la modella e la scienziata. La scena “scarna” si trasforma di continuo, come una metamorfosi interiore. Dalle prime parole si percepisce la grinta, la padronanza del ritmo e l’eleganza nel passare da un registro all’altro: ironico, sarcastico, emozionale. Il percorso culmina in un finale visivo e potente — coriandoli dorati spinti da un grande ventilatore — che richiama la spettacolarità di un set fotografico, quasi una celebrazione del glamour che, nelle corde di Maria Vittoria, diventa un linguaggio di autoaffermazione. La regia di Pettorusso costruisce un meccanismo calibrato, la voce e gli ammiccamenti, la gestualità si incastrano come elementi di un esperimento sociale. Ne risulta una lavorazione arguta e necessaria sul pregiudizio, sulla difficoltà per una donna di essere riconosciuta nella sua complessità senza essere ingabbiata in un solo ruolo. L’attrice interpreta la contraddizione tra apparenza e sostanza con intelligenza e grazia, senza mai forzare l’emozione, ma lasciando che emerga naturalmente, come un battito. C’è, in Maria Vittoria, una promessa scenica autentica. La sua presenza è precisa, il suo sguardo lucido e ironico, la voce modulata con sensibilità. Per questo, se potessi suggerirle un futuro ruolo, immaginerei per lei una Rapunzel teatrale: un monologo in cui gli altri personaggi non esistono se non come sagome di cartone, simboli vuoti, proiezioni di un mondo di fiaba e sostanza. Sarebbe un modo poetico per continuare la ricerca iniziata con questo spettacolo: raccontare la liberazione dall’immagine, la conquista dello spazio interiore, il coraggio — e con essi, le catene dell’interpretazione.
📰 NOTTE TEMPO – Il Milione (Pavia)
Ultimo spettacolo del mio percorso, al Fab di Catania. Pietro De Nova e Maurizio Zucchi ci portano dentro la macchina del giornalismo, tra stampa e manipolazione, etica e spettacolarizzazione. Confesso: ero stanco, dopo ventisei giorni di Fringe, e ho perso qualche filo. Mi resta l’immagine di due attori generosi, che con ironia e passione raccontano un mestiere in bilico tra verità e finzione.
💫 Riflessione finale
Dopo giorni di teatro, parole, incontri, posso dire che il Fringe di Catania prededuto da Fringe Milano Off è vera energia propulsiva. Un serbatoio di creatività, di professionalità, di cultura teatrale viva. Serve alla nostra società come ossigeno: per sviluppare nuovi talenti, per aprire spazi di libertà, per portare il teatro tra le nuove generazioni. Il teatro è questo: una disciplina in crescita, un modo di unire le forze e dare valore alla luce che ciascuno porta dentro.